Il Meridione ha
voglia, capacità e caparbietà per farsi conoscere all’estero. Le imprese e i
prodotti di qualità in grado eccellere in campo internazionale non mancano, e
le persone, la cultura e la storia del Sud Italia costituiscono il patrimonio
più ricco di un territorio che vuole avanzare. Alessandro Luigi Scalise (http://www.alessandroluigiscalise.it) in
maniera itinerante, descrive nell’intervista lo stato di forma del nostro Sud.
Lui, un giovane ed intraprendente consulente per il commercio estero, esperto
di marketing internazionale e di mercati globali, formatosi tra l’Università
Bicocca di Milano e la sua precedente esperienza lavorativa di export manager
nel settore meccanico che gli ha permesso di viaggiare in moltissimi Paesi
stranieri, con la sua passione per tutto ciò che è conoscenza e sapere, pone al
centro della sua vita professionale l’interscambio tra il Mezzogiorno e il
resto del mondo.
Intervista a cura di Pasquale Canu
Io
mi occupo di consulenza per le imprese che intendono internazionalizzarsi, e a
tal riguardo, la mia mission è quella
di supportare i miei clienti ad individuare “la migliore strada da percorrere”,
da fare insieme per i primi chilometri, sin quando non raggiungono un
sufficiente grado di autonomia. Per me è importante che essi acquisiscano i
processi e i metodi più efficienti, ed allo stesso tempo, efficaci, affinché
internazionalizzare costituisca la prassi della loro attività.
Quando
collaboro con le imprese per implementare il processo di
internazionalizzazione, inizio prima di tutto effettuando assieme a loro una
reale ed attenta analisi della situazione aziendale in essere, che tocca i
seguenti elementi principali: il proprio passato, i risultati raggiunti per
periodo, i processi commerciali e di marketing messi in atto sino a quel
momento, la corporate vision and mission,
ossia quali sono i valori e le aspirazioni che proiettano l’imprenditore verso
una nuova dimensione e verso nuove sfide, e come la propria organizzazione sia
in grado di operare per sostenere gli scenari strategici ideati. Avendo a
disposizione queste informazioni, riusciamo poi a porre in essere un piano, il
PSE - Piano Strategico per l’Export -,
che riporta tutto ciò che verrà messo in atto durante il periodo considerato,
dunque, processi, obiettivi, analisi di mercato e molto altro. Considero questo
documento la mappa che indica la via maestra da seguire per raggiungere gli
obiettivi prefissati.
Affinché
l’attività di check-up possa essere
“robusta”, è di vitale importanza che vi sia massima trasparenza e,
soprattutto, onestà da parte di tutti, perché un approccio diverso, conduce
inevitabilmente all’insuccesso dell’iniziativa.
Qual è lo stato
attuale dell’export del Mezzogiorno e quali sono i partner storici con cui
sinora si sono maggiormente intrattenuti rapporti di interscambio? Come vedi il
commercio estero nel Sud Italia, in proiezione futura?
L’export
italiano in generale è debolmente in crescita anche se dagli ultimi dati
diffusi dai vari istituti di ricerca emerge che la competitività del made in Italy è in aumento. Vi è poi una
crescita considerevole del numero di piccole imprese che decide di superare i
confini nazionali, pur essendo a volte soltanto presenti a livello regionale o
in aree poco più estese. Crescono i piccoli operatori il cui fatturato relativo
all’export rappresenta soltanto una piccola porzione di quello totale.
Il
Sud ha sempre puntato verso i mercati maggiormente conosciuti ed affini, la cui
cultura risulta essere quasi equivalente alla nostra, grazie soprattutto alla forte
presenza di grandi comunità di connazionali emigrati amanti delle proprie
tradizioni e dei sapori che io chiamerei, “del pranzo domenicale”. Questi
mercati sono la Germania, la Francia, il Canada, gli USA, l’Australia, la
Svizzera, il Belgio i Paesi che più di altri hanno visto lungo i decenni
importanti flussi in entrata dei prodotti del Mezzogiorno, grazie ad una
domanda sempre, più o meno, costante in cui ha sempre avuto un ruolo trainante
il settore agroalimentare.
A
guidare l’export del Meridione è la Puglia, nonché prima regione italiana in
termini di crescita percentuale (+9,4%). Il dato che potrebbe lasciare
increduli, è quello relativo alla rilevante espansione che la regione Puglia sta
avendo verso i mercati extra-UE, sintomo, a mio avviso, di due aspetti. Primo,
le aziende pugliese hanno investito per incrementare le proprie competenze,
soprattutto a livello internazionale, e tutto ciò ha generato importanti
vantaggi nel riuscire a produrre dei forecast
puntuali, riuscendo così a prevedere quali fossero le migliori decisioni da
prendere per mantenere o aumentare la propria competitività all’estero.
Secondo, gli investimenti, pubblici e privati, hanno contribuito
considerevolmente ad aumentare notevolmente il livello di attrattività del
territorio regionale pugliese, con ricadute positive sui prodotti made in Puglia.
Le
altre regioni dovrebbero prendere esempio dalla Puglia, investendo soprattutto
in piani di marketing territoriali capaci di aumentare l’ “appetibilità”
regionale nel lungo periodo, creando dei veri e propri marchi “made in” regionali, in grado di far
percepire la genuinità e l’alta qualità dei prodotti, sulla base della
provenienza.
Ci sarebbero secondo
te i presupposti per una politica strategica che miri a compattare le regioni
del Sud Italia in un’ottica di sistema, affinché si crei un’unica entità con
un’unica voce che possa dialogare meglio col mondo, evitando la frammentarietà?
Vedresti in ciò dei vantaggi?
Assolutamente
sì. Sono un fervido sostenitore del concetto di “rete/network” e di azioni
comuni con l’obiettivo di ridurre, quanto più sia possibile, il deficit
dimensionale e di competenze delle nostre aziende.
Qualcosa
si è mosso negli ultimi anni, grazie anche al Piano Export Sud - Piano Export per le Regioni della
Convergenza, per esteso - promosso e spinto fortemente dal rinato ICE, la
cui mission è proprio quella di
creare un programma di coesione tra i vari territori del Sud Italia favorendo
il processo di internazionalizzazione delle PMI, puntando soprattutto sul made in Italy dell’Agroalimentare, di
cui il Sud è un importante ambasciatore.
Vorrei,
inoltre, sottolineare l’importanza che potrebbero avere le varie camere di commercio,
attraverso i propri dipartimenti impegnati nella promozione dei prodotti del territorio
verso i Paesi esteri, e i consorzi che quotidianamente nascono per ottimizzare
il processo di commercializzazione e di marketing con, quasi sempre, aziende
non connazionali.
Allo
stesso tempo, ritengo vi sia bisogno di creare una connessione ed integrazione
di tutte queste attività in maniera tale da poter operare tutti assieme senza
ridondanza a livello operativo e avendo obiettivi chiari e, soprattutto,
realistici da perseguire insieme per un’ottica di rete.
C’è una regione del
Sud Italia che ti colpisce più di tutte e perché? Puoi parlarci della Calabria,
tua regione di riferimento?
Senza
ombra di dubbio la Puglia, sulla quale mi soffermo nuovamente. È stupefacente
assistere a quanto di positivo sta avvenendo in questa regione. In Puglia è
stata messa in atto una politica promozionale della risorsa per eccellenza del
Mezzogiorno, il turismo, facendo registrare numeri davvero importanti. Basti
pensare che nel periodo compreso tra il 2007 e il 2012, la presenza di turisti
stranieri ha fatto segnalare un’incredibile +42,8%, contro il +10,5% della
media nazionale, nonostante tuttavia fossero anni fortemente caratterizzati da
eventi economico-finanziari negativi nel panorama mondiale.
Ma
l’aspetto che mi ha lasciato oltremodo sorpreso, riguarda i dati relativi
all’export nel primo trimestre di quest’anno: la Puglia è la prima regione
esportatrice d’Italia, con un +18% di crescita, e al secondo posto le Marche,
con un +10,5%, quindi staccata addirittura di 7,5 punti percentuali.
Come
l’ha definita il Presidente della regione Puglia, Nichi Vendola:” … è una
regione estremamente reattiva”, e io aggiungerei proattiva.
All’opposto,
invece, vedo la mia regione, la Calabria. Come tutte le regioni italiane, ha
risentito molto la crisi economica degli ultimi anni e, soprattutto, la
continua instabilità economico-politica del nostro belpaese.
Capitale
e mercato del lavoro, non pervenuti. Flessione continua dal 2007 del settore
delle costruzioni e, dato tanto grave quanto prevedibile, settore dei servizi
in discesa a causa, tra le varie ragioni, di un'importante diminuzione di
viaggiatori, soprattutto nostri connazionali.
La
Calabria ha il primato italiano per quanto riguarda il tasso di disoccupazione:
ben il 56,1% dei calabresi non ha un lavoro, soprattutto nella fascia dei più
giovani. Dato, ancora più sconvolgente, riguarda la crescita dell’incidenza di
coloro che non lavorano né svolgono attività di studio o formazione.
Registra
invece un dato positivo l’export dell’industria alimentare.
Per un’ottimizzazione
dei processi di internazionalizzazione, di cosa le imprese del Meridione hanno
prioritaria necessità e secondo te quanto gli imprenditori e i managers del Sud
con le loro aziende sono preparati e proiettati all’export?
Vi
è un problema di fondo nell’organizzazione delle imprese del Meridione:
struttura organizzativa “super” accentrata. L’imprenditore si trova di fatto a
ricoprire tutte le funzioni di vertice nei vari dipartimenti: responsabile di
produzione, amministrativo, commerciale, risorse umane, della logistica e,
dulcis in fundo, marketing. Ai collaboratori spettano soltanto attività di pura
esecuzione. Troppe restrizioni, limiti, errori di valutazione, mancanza di
conoscenza approfondita delle tematiche dipartimentali.
Vi
è bisogno di un cambiamento radicale della cultura imprenditoriale.
L’accentramento estremizzato collide con l’aria di rinnovamento e dinamicità
che si respira nell’arena dei mercati globali. Inoltre, vi è necessità di una maggiore
dose di umiltà, avere un approccio market-oriented
ed una visione a lungo termine. Il riassunto è esprimibile in un’unica parola,
conoscenza.
Per
effettuare la mera vendita d’oltre confine o, al massimo, attività di
esportazione indiretta, dove nella maggior parte dei casi non si è mai
incontrato di persona il proprio interlocutore o effettuato una videoconferenza
per discutere su come commercializzare i propri prodotti - immagine, posizionamento,
prezzo finale, etc. -, gli imprenditori e i managers del Sud, ritengo che nel
far ciò, siano preparati. Se parliamo, invece, di vero e proprio processo di
internazionalizzazione, con dei piani aventi obiettivi di lungo termine e
budget importanti, magari accostati a dei seri progetti di marketing, offline e online, lo scenario a mio avviso si ribalta completamente.
I giovani del Sud come
possono contribuire e quanto possono essere integrati in un discorso di
internazionalizzazione? Che tipo di preparazione gli consiglieresti di
acquisire e quali iniziative potrebbero intraprendere nel Sud Italia, evitando
in tal modo di dover emigrare al Nord Italia o all’estero per ottenere
un’occupazione che sempre più frequentemente nel Mezzogiorno viene a mancare?
Quali occasioni nel Sud potrebbero sfruttare?
La
tua domanda mi fa venire in mente le famiglie giapponesi proprietarie di
aziende, che nel periodo della rinascita post-bellica era per loro usanza
inviare i propri figli a seguire i migliori corsi universitari dell’Europa
orientale e del Nord America, oltre che a farli lavorare in società ubicate in
queste stesse aree geografiche. Perché tutto questo? Per far apprendere al
meglio alla loro prole le best practices
da poter successivamente introdurre all’interno delle proprie aziende
di famiglia, determinando come effetto virtuoso indiretto, il conseguente
progresso del Paese nipponico.
Questo
esempio, aiuta a comprendere che i giovani hanno bisogno di far emergere la
propria audacia per uscire dal guscio e andare alla ricerca di sorgenti di
“sapere”, mettere insieme il tutto e interpretandolo in maniera tale da
sfruttarlo al meglio utilizzando la propria chiave di lettura, al fine di
ottenere risultati apprezzabili e di successo.
Poi,
penso sia superfluo dire che la conoscenza della lingua inglese sia ormai un must. Aggiungere al proprio curriculum vitae qualche altra lingua al
giorno d’oggi è molto importante. A tal proposito, suggerisco di investire il
proprio denaro e tempo nello studio delle lingue direttamente nei Paesi
d’origine. Questa scelta, se fatta, offre considerevoli benefici: full immersion nella lingua studiata
carpendo le sfumature della stessa e conoscenza della cultura del Paese in cui si
soggiorna. Ciò rappresenta a mio avviso un patrimonio che se acquisito può
costituire un fondamentale vantaggio.
Il
mio consiglio è quello di vivere il mondo, di non delinearsi dei limiti geografici,
essere open-minded ed imparare dalle
diverse culture con cui ci rapportiamo, e poi il resto verrà da sé.
La
miniera d’oro del Sud è il turismo e l’agroalimentare, senza ombra di dubbio. Noi
giovani abbiamo la fortuna di essere la generazione di internet,
dell’evoluzione tecnologica e della globalizzazione; tutto ciò ha influenzato
in maniera importante il nostro modo di pensare, più aperto, dinamico e
pro-attivo rispetto ai nostri padri. Ma, allo stesso tempo, abbiamo la sfortuna
di vivere un momento storico catastrofico, soprattutto per il continente
europeo. Cosa si potrebbe fare?
Mettere
in campo le nostre naturali attitudini, le nostre conoscenze, l’immensa voglia
di fare, il desiderio di seguire un percorso formativo continuo per gestire,
finalmente, al meglio le risorse che la natura e la cultura del Sud ci offrono.
Il tutto deve essere fatto con programmazione e progetti di lungo termine,
inserendo anche quel pizzico di moralità nello svolgere i propri affari, con la
speranza che possa condurre ad un maggiore benessere per tutti.
Che cosa il Sud
d’Italia ha da offrire al resto del mondo?
Faccio
degli esempi. La Calabria è tra le prime regioni italiane nella produzione di kiwi.
La Campania è conosciuta in tutto il mondo per i prodotti lattiero-caseari e
per i pomodori. Il Sud, in generale, per l’olio d’oliva, fichi secchi, vino, e
su quest’ultimo si dovrebbe puntare al raggiungimento di livelli di immagine
territoriali come è stato fatto sensatamente per il Piemonte, la Toscana
e il Veneto, ad esempio. Come già detto in precedenza, l’agroalimentare è la
nostra miniera d’oro, al momento poco sfruttata, penso, a causa di un approccio
figlio del passato, che si fondava sul c.d. supply-oriented,
trascurando notevolmente il ruolo del marketing, che invece deve essere
riconsiderato degnamente, anche nelle PMI.
Ma
il Sud Italia non è soltanto turismo e agroalimentare. Ho avuto modo di
collaborare con una PMI calabrese produttrice di una particolare macchina
utensile, l’alesatrice portatile utilizzata in molteplici settori - movimento
terra, minerario, navale, nucleare, etc. -, dove la presenza nelle superfici di
fori danneggiati, richiede un intervento in loco per la riparazione e lo smontaggio
del pezzo interessato, il trasporto dello stesso nell’officina per la
rettifica, con importante dispendio di denaro e di tempo, che invece grazie al suo
utilizzo, tutti questi sforzi vengono risparmiati. Oggi, la provincia di
Catanzaro rappresenta una realtà importante a livello mondiale per la
produzione di questo particolate macchinario, a testimonianza del fatto che
anche nel Meridione possono essere intraprese iniziative importanti in campo
tecnologico.
A breve termine
concretizzerai e sarai protagonista di alcuni progetti all’estero, c’è ne puoi
parlare?
Attualmente
mi trovo a Montréal in Canada per mettere in atto dei progetti aventi per
oggetto un primo step di un processo
di internazionalizzazione delineato su obiettivi di lungo periodo. Il progetto
in essere coinvolge due aziende che operano nel settore agroalimentare e che hanno
storie totalmente diverse l’una dall’altra, ma che sono accomunate entrambe da
una forte volontà di ritagliarsi degli spazi importanti nei mercati esteri.
Stiamo
lavorando per aumentare la notorietà dei loro marchi nei mercati target, e per
creare una forte identità dei marchi stessi che ne consenta una riconoscibilità
chiara ed immediata a livello internazionale, avente localizzazione principale in
Canada, per via della cospicua presenza di un’importante comunità italiana di
emigrati, che rappresenta un vasto bacino di consumatori potenziali.
Inoltre,
in questa fase, ci stiamo attivando per creare dei database di potenziali
clienti, gestendo tutti i processi di tipo sales
& marketing attraverso un approccio Customer
Relationship Management, con l’ulteriore scopo di introdurre nella cultura
aziendale una metodologia market-oriented
maggiormente efficace.
Il
nostro successivo obiettivo mira alla creazione di un network commerciale formato da aziende clienti per la maggior parte
grossisti ed importatori, che fanno da intermediari alle società italiane nel
comunicare ai consumatori finali i valori aziendali e dei brands, intrinseci ai prodotti. In questo modo, vogliamo riuscire
ad ottenere un consolidamento della nostra azione in Canada, durevole nel
tempo.
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